Divulgare per essere persone nuove
Ricordare i settant’anni del ghetto di Terezín significa ricordare un passaggio fondamentale dello sterminio degli ebrei, per ricordare l’intera Shoah. Sono domande e questioni passate nel tempo ma mai passate a livello ideale e sociale. Divulgare significa anzitutto far sapere, conoscere e raccontare. Divulgare significa anche rendere più semplici (ma non semplicistici) il lessico e le narrazioni perché i contenuti siano percepiti e compresi da un pubblico più vasto, magari composto da bambini o ragazzi. Non dare nulla per scontato, a settant’anni di distanza, significa trovarsi di fronte ad una occasione, la possibilità di avvicinarsi seriamente ad una questione partendo dall’essenziale, dalle motivazioni di fondo.
Il senso del recupero della memoria equivale nella conferenza alla narrazione di storie particolari: non che si sia fermata la ricerca sulla storia globale, “vista dall’alto”, ma cresce di anno in anno il desiderio di storie raccontate e “viste dal basso”, da dentro. Attraverso la lettura, il video e la musica si ricostruisce il clima culturale e sociale del tempo e si forniscono informazioni insieme a sensazioni. Il linguaggio poetico dei protagonisti fa spesso da filo conduttore. Le parole sono prese direttamente da documenti originali dell’epoca o da pubblicazioni successive.
È una occasione difficile e impegnativa, ma molto ricca di possibilità. Qualsiasi strada naturalmente, non copre tutte le mete: affrontare la Shoah in questa maniera non significa sminuirla, renderla meno importante, ma aiutare ad entrare poco per volta, e con sensibilità formativa, in un argomento assai complesso. Lavorare su questo tema con attenzione e riflessioni adeguate è una forma di responsabilità civile, è un impegno che ci si prende di fronte alla comunità. L’impegno di ricordare, anche solo una piccola cosa, un episodio appena, ma ricordare, non dimenticare. Un progetto sulla Memoria ha finalità umane ancor prima che culturali.